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Soggezione di un cane

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Ecco come Italo Calvino pone al centro lo sguardo animale per riflettere sull'uomo e sul suo modo di abitare la dimensione naturale che ci accomuna. Con ispirazione apparentemente surrealista e fantastica lo scrittore, in poche righe, presenta l'animale come nostra alterità lasciando trapelare qualcosa di nuovo sulla vita e sul nostro modo di abitarla, non da padroni autoreferenziali e assoluti

Soggezione di un cane Italo Calvino

Ogni tanto mi capita di chiedermi come ci giudicheranno gli animali. Se tutte le cose strane che facciamo appariranno loro come fatti naturali, come scherzi d’una natura mostruosa e irrazionale, oppure come qualcosa di contrario al senso del mondo, come un’offesa all’ordine elementare delle cose, oppure infine se si saranno adattati tanto alla vita della nostra civiltà da non accorgersi di questo divario come non ce ne accorgiamo noi, e da continuare a vivere, come noi, cercando di trarne tutti i vantaggi possibili.

Una volta avevo un cane che mi dava soggezione. Io mi facevo la barba e lui mi stava a guardare. “Non capisce – pensavo io. – Come fa un cane a capire un uomo che si fa la barba? Come faccio a spiegargli la necessità di farmi la barba? Perché mi faccio la barba?” Non riuscivo più a radermi e smettevo. Mi mettevo a tavolino a scrivere: il cane continuava a guardarmi.” Come posso spiegargli perché scrivo? – mi domandavo – Scrivo per guadagnarmi il pane: questo potrebbe capirlo. Ma perché mi pagano quello che scrivo? Cosa se ne fanno? Scrivo qualcosa di utile?” Rileggevo e trovavo stupido tutto quello che avevo scritto. Finivo per appallottolare il foglio e alzarmi. Venivano visite di riguardo: io le ricevevo con grandi complimenti, parlavo con rispetto. Il cane mi guardava. Certo si stupiva che portassi la camicia abbottonata, che non mi sedessi con le gambe sui braccioli della poltrona. Come fare a spiegargli che erano persone influenti, da rispettare? Ma io le rispettavo? Avevo stima di loro? Dovetti chiudere il cane in un’altra stanza per non mettermi a insolentire quei signori. Finii per disfarmi del cane, se no a quest’ora girerei nudo e barbuto per i boschi, nutrendomi di frutti selvatici.

Da : Saggi 1945 1985, Tomo II
I Meridiani Mondadori

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